domenica 20 marzo 2011

Le ipocrisie del calcio italiano Ep.1 : Mercenari miliardari.


Buongiorno a tutti. Chi segue il calcio da un po' di tempo con spirito critico, più che da tifoso, sicuramente negli anni non potrà aver fatto a meno di constatare quanto questo appassionante mondo si porti appresso una serie infinita di ipocrisie, falsità, che cavalcano l'ignoranza, il populismo, la stupidità del 90% di coloro che si definiscono tifosi, di ogni fascia sociale e di età.

Ciclicamente vediamo tornare alla ribalta argomenti come l'eccessivo stipendio dei calciatori, rispetto ai tanto strumentalizzati operai, la piaga della violenza negli stadi, le difficoltà tecniche delle nostre squadre in Europa, così come quelle dalla nazionale, fino ad arrivare agli stadi, alla mancanza di appeal del nostro campionato, e via discorrendo.

Eppure, negli ultimi 20 anni non ricordo UNA sola modifica strutturale al nostro calcio in grado di risolvere questi "problemi" (più avanti spiegherò il perchè delle virgolette). Sempre parole, proposte, intenzioni, prese di posizione e condanne, ma mai un atto vero che potesse modificare una situazione ferma agli anni 80.

Oggi mi voglio soffermare in particolar modo sulla penosa, banale, anacronistica frase:"Non esistono più le bandiere. I calciatori sono tutti mercenari miliardari". Sì, è vero...e quindi?

I termini dispregiativi di questa frase sono due in particolare: miliardario e mercenario.

Analizziamoli separatamente.

Miliardario.
Nella società moderna esiste una legge che tanti danni ha creato a tutta l'umanità, ma che allo stato attuale è ineluttabile per tutti coloro che abbiano a che fare col mondo del lavoro: si chiama legge di mercato.
Cosa dice la legge di mercato ? Molto semplice: se io, col mio lavoro, faccio guadagnare 100, è giusto che venga pagato più di chi fa guadagnare 1.
E non solo: se io e te facciamo lo stesso lavoro, ma io lo so fare meglio, e questa mia qualità porta la nostra azienda a guadagni maggiori rispetto a quelli che porti tu, se io ho delle "specializzazioni" che tu non hai, e che permettono all'azienda un salto di qualità, è più che giusto che io guadagni più di te. Punto.

Mi chiedo quanti di quelli che si stracciano le vesti pensando allo stipendio di un Ibrahimovic, o di un Messi, o di un Ronaldo (giusto per fare tre nomi importanti) si siano mai chiesti quanto questi tre facciano guadagnare alle proprie società, in termini economici, sportivi, e di immagine.

Senza contare il fatto che sono tutti dipendenti di società ed imprenditori privati, che con i propri soldi fanno e disfano ciò che vogliono, senza intaccare conti pubblici, quindi di tutti noi.
La verità è che il 99% di coloro che criticano questo sistema, lo fa mosso dall'invidia di chi sa che mai potrà raggiungere quegli stipendi da sogno, ma che non esiterebbe un attimo a gettarsi a piene mani sul malloppo se per un motivo o per un altro riuscisse ad averne accesso.

Quanti di loro conoscono il principio della ridistribuzione del denaro, della riduzione della forbice fra dipendenti con ruoli di maggiore responsabilità e prestigio, rispetto a quelli più umili, sostituibili e non specializzati?

E davvero ridere fanno le strumentalizzazioni di sedicenti politici, loro sì stipendiati dallo stato, quindi da me e da voi, che si lanciano in critiche feroci alle cifre del calcio-business, dimenticando di essere i più privilegiati d'Italia, eletti per rappresentare e servire il popolo, dipendenti pubblici a tutti gli effetti, ma che non sottostanno a nessuna "legge di mercato", facendo guadagnare ai propri datori di lavoro (noi) un millesimo (ipotetico, ovviamente) di quello che percepiscono.

Eppure è utile, sfruttare l'invidia travestita da senso sociale, per accaparrarsi consensi, sull'onda di un'ignoranza diffusa, di un'incoerenza evidente quanto ridicola, nel momento in cui si decide comunque di abbonarsi alla propria squadra del cuore, anche se tizio o caio prendono in un mese ciò che l'abbonato prenderebbe in 10 anni.
Perchè il tifoso è così: voto chi si lancia contro gli stipendi troppo alti dei calciatori, però vado a votare di sabato, perchè la domenica c'è la partita, e non me la posso perdere.

E passiamo ora all'analisi di quel termine tanto caro a chi fa di una squadra una fede, dimenticando che nulla entra nelle proprie tasche: Mercenari.

Photocredit revenews.info
Se avete letto la prima parte dell'articolo, potrete facilmente immaginare la mia idea in merito.

Io ho un sogno: fare un lavoro che mi piaccia, che mi permetta di girare il mondo, conoscere culture di vari paesi, possibilmente con un lauto riconoscimento economico, in grado di far vivere me e la mia futura famiglia in modo agiato.

Porca miseria, avrei potuto fare il calciatore.

Perchè se non è ancora chiaro, quello del calciatore è un lavoro, e come tale va trattato, sia nel suo espletamento quotidiano, ma soprattutto nelle dinamiche di scelta delle modalità di svolgimento, sotto tutti i punti di vista: condizioni, luogo, possibilità di crescita e raggiungimento degli obiettivi professionali, economici e morali del lavoratore.

Quanti di noi lavorano all'interno di un'azienda in cui si trovano bene, stimano, con sentimento ricambiato, i propri datori di lavoro e non sentono nessuna esigenza di cambiare aria? Pochi. Eppure, anche quei pochi, forse un giorno decideranno di mollare tutto per i più svariati motivi: economici, personali, professionali, scelte di vita e di portafoglio. Ma se ognuno di noi è libero di scegliersi il proprio futuro, andando a cercare ciò che meglio ritiene essere per se stesso, il calciatore non può. Il calciatore è legato, perchè il calciatore ha migliaia di persone che lo idolatrano, lo venerano come un dio, pendono dalle sue labbra, probabilmente pochi mesi dopo averne detto peste e corna, perchè colpevole di indossare la maglia sbagliata.

Vi rendete conto dell'assurdità di questa situazione?

Photocredit calcioline.com
E chi, ovviamente, pone con più forza quest'accusa ? I tifosi. Quella massa informe ed eterogenea, pronta ad impazzire per un rigore non dato o per un passaggio mal calibrato, salvo poi reindossare il vestito da popolino non appena messo il piede fuori dallo stadio/santuario/baracca.

Solo loro, in modo sconvolgente, possono credere a chi arriva dalla Juve, e prima ancora dall'estero, annunciando "sono sempre stato tifoso dell'Inter", e si prostrano ai suoi piedi dipingendolo come l'acqua santa in grado di sconfiggere i mali del mondo (anche i loro, probabilmente), salvo poi farlo diventare diavolo non appena decide di cambiare aria, di cercare qualcosa di diverso dal punto di vista professionale, di cercare maggiori successi, maggiori guadagni, o semplicemente perchè non gli piace l'aria di Milano, baciando la maglia del Barcellona, tentando di arruffianarsi i suoi nuovi adepti, per poi lodare la bellezza della maglia rossonera, appena un anno dopo, "la più bella indossata in carriera".

Photocredit sport.sky.it
E loro lì, in estasi, a mandar giù ogni stupidaggine lanciata loro come manna dal cielo, pronti a creare un nuovo culto a sua immagine e somiglianza, pronti ad innalzare cattedrali fino al cielo, salvo poi distruggerle non appena si rendono conto che quello è un uomo e non un dio, ed in quanto tale racchiude tutte le caratteristiche proprie dell'essere umano: l'ambizione, l'insoddisfazione perenne di ciò che si ha, la voglia di scoprire ed affrontare nuove e più stimolanti sfide, e perchè no, la tentazione di vincere facile.

E se c'è un aspetto da criticare, nel calciatore, è la totale noncuranza dell'importanza dei contratti, legami veri e propri, che troppo spesso vengono usati come carta straccia, ma che comunque attengono a rapporti di lavoro fra privati, e su cui i datori di lavoro stessi dovrebbero trovare un accordo comune per imporne gli oneri oltre che gli onori, senza invece approfittare della potenza della moneta per stabilire un regime di "fotti il prossimo".

Ridicolo, ancora una volta, vedere come noi italiani siamo gli unici a punire chi non vuole rinnovare un contratto, pur essendo una scelta nel pieno diritto del lavoratore, mettendolo fuori rosa, vessandolo con trattamenti umilianti (relativamente parlando), e pretendendo pure di avere ragione, come il nostro moralizzatore che parla latino ha mostrato a tutta Italia, nel caso più eclatante.

Photocredit sporth24.com
Intendiamoci: sono stato anch'io tifoso, non lo sono più dal 1° Maggio 2005, quando decisi di andarmene a mare con gli amici anzichè andare allo stadio, realizzando per la prima volta come ci siano cose molto più importanti del pallone che rotola in porta, pur restandone un appassionato.

Mi spiace anche generalizzare, perchè mi rendo conto che non tutti sono così, ma vedere ancora gente che si picchia a sangue, che si dichiara guerra, che si odia, al grido de "la mia squadra è migliore della tua" mi fa letteralmente impazzire.
Si badi bene che non parlo dei fantomatici ultras (a cui dedicherò qualche pensiero nelle prossime settimane), ma di quel sentimento comune che porta un pensionato ad ucciderne un altro sol perchè aveva criticato sua maestà Marco Materazzi.

Sarebbe ridicolo, se non fosse così tragico.

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